martedì 27 aprile 2010

Sogno di una Notte di Fine Estate
Un Racconto Incompiuto

Sogno di una Notte di Fine Estate è nato nel settembre del 2008, l'intento iniziale era quello di creare una storia di buone dimensioni, la trama era già tracciata e ben delineata, avevo diversi appunti da parte, nato da una mia idea doveva diventare un racconto scritto a due penne con il mio compagno di "Viaggio" Teg, purtroppo l'avventura si e conclusa subito e non e mai continuata.


Prologo


Tutto iniziò in un giorno di fine estate, nel meridione del Decumano Ovest, ai piedi dei Bianchi Poggi c'era una caverna Hobbit lussureggiante, alle sue spalle cadeva una splendida cascata, il fragore delle sue acque, che per molti risulterebbe fastidioso invece rilassava l'inquilino al suo interno.
Il giardino era rigoglioso, sorgevano delle aiuole di splendidi gigli bianchi,in tutto il circondario l’aria era carica del loro profumo e le farfalle volavano serene nell'aria in cerca di nutrimento. All'ombra di una vecchia quercia era piantata una tenda circolare, al suo interno vicino dei grossi ceppi presto avrebbero fatto la loro comparsa dei carnosi funghi neri.
Nei pressi dell'ingresso dell'abitazione era posto un grande tavolo da Pick nick, molto spesso ricolmo di vivande, non molto lontano un carretto portava una grossa botte di Birra.
Agli occhi di un qualsiasi viaggiatore si direbbe una comune casa Hobbit, come se ne vedono spesso in tutta la Contea, ma chiunque si fosse inoltrato al suo interno avrebbe pensato, “mai giudicare un uovo dal suo guscio”.

La grossa porta verde, rigorosamente rotonda, si apriva nell'atrio, al suo interno sulla destra un appendiabiti con cassapanca sosteneva una pesante mantella di pelle d'orso, sulla parete sinistra un orologio a pendolo e a terra vicino a un portaombrelli di rame giacevono un paio di scarponi da montagna, un sacca di pelle molto pesante e due grossi zaini. L'atrio mediante un corto corridoio dava direttamente sull'ampio salone principale, dove il padrone di casa usava intrattenere i suoi ospiti.
La stanza era ben illuminata grazie alle tonde finestre che davano verso l'esterno, le pareti erano decorate con una carta da parati floreale, fin qua nulla di strano, ma ammirando gli arredamenti si vedeva un aglomerato di stili differenti. Al centro della sala adagiato su un tappeto sfarzoso,un tavolo basso di ottima fattura attentamente lavorato, coperto da libri e mappe di tutte le ere, intorno ad esso erano sistemate diverse sedie e sgabelli di diverse misure. Un camino di pietra dominava la parete sinistra, al suo fianco un grosso orso bruno imbalsamato. Nella stanza erano sistemate alcune librerie di mogano rosso incise con caratteri elfici,una grossa cassapanca,un grande divano con due poltrone e un piccolo tavolino circolare,un armadio a muro e delle scafalature ricolme di soprammobili di tutte le fatture.Ai muri era appeso un salmone di notevoli dimensioni, diversi quadri che raffiguravano paesaggi della contea e la montagna solitoria, una mappa che rappresentava i cunnicoli di una miniera, diversi armi ornavano le pareti, ma la cosa che risaltava di più è un vecchio piccone da minatore con una targhetta che diceva: “Nonno Felakgundu”.
Nella zona occidentale della sala una porta si apriva sulla cucina, ben fornita di vettovaglie di tutti i tipi, sistemate su una grossa dispensa, un scaffale pieno di pentole e padelle, un grande forno e un lungo tavolo di legno su cui si usava consumare abbondanti pasti.
Nella zona orientale della casa una corridoio conduceva alla taverna, una grossa botte di rovere era posta al centro della stanza e alle pareti erano sistemati degli scaffali pieni di bottiglie. Nella parete opposta all'entrata della stanza, una scala a chiocciola e un montacarichi portavano a un livello inferiore. Sotto la taverna era presente una cantina, simbolo dell'operatività del padrone di casa. Ai bordi della stanza erano poste botti di tutte le dimensioni, su un tavolo era sistemato un grosso mortaio su cui venivano lavorati Luppolo, Malto e Orzo. Una grossa caldaia a doppio fondo, riscaldata a legna era collegata a due grandi cisterne, l'intero impianto idraulico era in bronzo e scaricava i suoi vapori all'esterno.Dalla stanza un galleria portava in superfice direttamente fuori casa. In questa stanza indubbiamente veniva prodotta la miglior birra di tutta la contea.
Ma è nella camera a nord del salone che in quel momento si trovava il padrone di casa, la stanza da letto era poco arredata, solo un grande armadio dove si trovava l'intero guardaroba e un piccolo tavolo su cui era appoggiata una asciabipenne e un pericoloso martello da guerra, ma era il letto a sorprendere l'ignaro visitatore, non il solito letto hobbit, ma un grosso letto rinforzato dove dormiva un corpulento nano dalla barba rossa che borbottava vivacemente nel sonno.


Capitolo Primo

Dalla finestra entrava una leggera brezza mattutina, il canto dei passeri risuonava nell'aria. Agaar nel suo letto dormiva profondamente, finche il canto del gallo non ruppe la tranquillità del suo sonno.

“Maledetto uccellaccio , prima o poi ti torcerò il collo!!”

Dopo un breve periodo di esitazione si alzo dal letto ancora traballante,si infilò la sua tenuta da viaggio,raccolse le sue beneamate armi e si dirise verso il divano nel salone.Appoggiò ascia e martello sul tavolino li accanto, raggiunse l'enorme botte di rovere collocata in taverna e si verso un caraffa di buona birra scura. Sorseggiando la corposa bevanda si accomodò sul divano meditando sul viaggio che sta per intraprendere.

Una settimana prima, nella notte, mentre dormiva nel suo letto, fu protagonista di un sogno rivelatore.

Agaar si trovava in una grossa caverna dai bordi indefiniti, una fitta nebbia limitava la sua vista, davanti a lui comparve uno spettro, ne era certo quel nano era il suo vecchio nonno da tempo passato a miglior vita. Gli parlò di una terra lontana caduta in ere passate, doveva recarsi in quel luogo per trovare la verità riguardo le sue origini.

Al suo risveglio rimase turbato da quelle parole, il suo vecchio nonno quando era in vita, aveva parlato molte volte con lui delle sue origini, ma i suoi racconti parlavano della stirpe di Thrar dei Barbadifuoco, mentre nel sogno gli si chiedeva di raggiungere le rovine di Belegost, l'antica città del clan Broadbeams, per una ragione a lui sconosciuta.

Finito di sorseggiare la birra e dopo aver sistemato le armi alla cintura, decise che il momento era giunto. Si avvio verso l'ingresso, si infilò gli scarponi da montagna,raccolse il grosso borsone e i due zaini che erano a terra e usci da casa diretto alla stalla ai bordi ovest del suo giardino.

Briseide lo attendeva da tempo, il grosso pony scalpitava all'idea di uscire all'aria aperta. Dopo

aver caricato i suoi bagagli alla base della sella, Agaar e il suo destriero si in camminarono giu dal vicolo diretti al luogo del loro incontro.

Costeggiarono il ruscello che divideva in due la vallata, passando per dei campi di grano fino ad arrivare al mulino del vecchio Boffin. Seduto sul pontile c'era un nano calvo dalla folta barba bianca che indossava un camicia bianca a quadri rossi e un paio di pantali di panno color sienna con una gonella a scacchi; Bafurr era il suo nome, mentre aspettava l'arrivo del fratello, suonava un antica melodia con la sua cara cornamusa.

Bafurr: “Era ora che arrivassi e dall'alba che son qua che ti aspetto!!”

Agaar: “Ho avuto un contrattempo con questo testardo di un pony, non voleva uscire dalla stalla.”

Bafurr guardò incerto il giovane Pony

Bafurr: “Sei sicuro di voler partire?”

Agaar: “Ne abbiamo gia parlato ieri sera, è da una settimana che stò preparando il viaggio, tu piuttosto, ci hai ripensato?”

Bafurr: “Lo sai fratello , ti seguirei ovunque, anche in cima a Monte Fato.”

Agaar: “Bene allora partiamo.”

Bafurr: “Dobbiamo passare prima a casa di quel eccentrico di un Hobbit?”

Agaar: “Teg e amico nostro ormai da tempo, parla di lui con piu rispetto!”

Bafurr abbasso lo sguardo in seguito alle parole del fratello. Sciolse le redini del suo vecchio mulo, legato poco più in la, e segui il Agaar che gia si dirigeva a passo spedito lungo il sentiero abitato.


Qui si conclude la storia


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